I segni dei tempi in un mondo che cambia

I segni dei tempi in un mondo che cambia

a cura di padre Giulio Albanese, missionario comboniano e direttore di Popoli e missione


Durante questo itinerario saremo accompagnati da un’unica grande riflessione; partendo dall’osservazione e dall’ascolto dei nostri tempi, di ciò che accade ogni giorno nel mondo, ci chiederemo “E io? Cosa posso fare?”.
Cercheremo di rispondere all’appello che Papa Francesco ha lanciato a noi giovani, fedeli nell’impegno assunto nel 2018 al V Convegno Missionario Giovanile: rimboccarci le maniche. Il cambiamento parte anzitutto dalla volontà di ciascuno di noi.

Di seguito potrai trovare la riflessione integrale. Puoi leggerla tutta d’un fiato oppure un capitolo al mese. Scheda per scheda, infatti, troverai un link che ti porterà al capitolo più adatto a trattare il tema scelto.


Introduzione 

In questo mondo che è trascinato dal costante fluire della Storia e che scorrendo, ora fa gioire, ora fa gemere, il cristiano non può conoscere nulla di più grande del Regno. Essere credenti, infatti, significa assunzione delle proprie responsabilità rispetto alla conversione del cuore, al bene condiviso, alla pace, alla giustizia, alla riconciliazione, al rispetto del creato. Ciò scaturisce dalla possibilità  che ci viene offerta dall’incontro con Cristo, nelle periferie, a fianco dei poveri, degli ultimi, nei bassifondi dove sono relegati. Ci pare che questa sia la sintesi più efficace del magistero di papa Francesco, in riferimento al tema della “Missione”, anche e soprattutto alla luce del suo documento programmatico, l’Esortazione Apostolica, Evangelii Gaudium. Ecco che allora da una parte c’è il nostro dovere di annunciare e testimoniare il Vangelo, mentre dall’altra può manifestarsi l’adesione o il rifiuto di qualsivoglia interlocutore. Ciascuno alle prese con la più problematica delle saggezze: il dubbio. Qui non discutiamo affatto sulle verità rivelate, ma sulle modalità che perseguiamo nell’affermarle. Quante volte, ammettiamolo, le nostre promesse si sono dissolte come fossero bolle di sapone o i nostri gesti hanno offuscato il mistero dell’amore. Ed è proprio per fare memoria del mandato missionario, che il tema scelto per la Giornata Missionaria Mondiale 2019  – in occasione del Mese speciale missionario indetto da papa Francesco – è “Battezzati e Inviati”. Soprattutto perché si avverte sempre più il bisogno di realizzare una reale congiunzione tra “Spirito” e “Vita”, cioè tra lo Spirito del Battesimo di cui siamo stati resi partecipi e ciò che accade nell’Agorà, cioè nella piazza della vita, nel mondo di cui siamo parte integrante con l’umanità del nostro tempo.

D’altronde, la spiritualità missionaria, secondo la tradizione dei Padri della Chiesa, è “Vita secondo lo Spirito”, dunque essa non può prescindere dal contesto in cui viviamo. Un messaggio evangelico asettico non serve a nulla, non foss’altro perché un cristianesimo disincarnato è come se fosse una civiltà senza religione. Se per secoli l’Europa ha visto nel cristianesimo il proprio elemento aggregante, oggi, stando alla cronaca, non è più così. La Civitas medievale è impressa sui muri delle cattedrali, sugli affreschi o sulle tele di Cimabue e Giotto, ma non certo nei comportamenti di una società globalizzata in cui si è persa la linea di demarcazione tra sacro e profano. Da ciò deriva l’urgenza di tornare ad essere, parafrasando il Vangelo, “sale della terra”, “lievito che fa fermentare la massa”. Ecco perché è necessario comprendere il mondo, saperlo interpretare, leggendo attentamente i “segni dei tempi[1]. La loro decodificazione è fondamentale per rendere intelligibile il messaggio cristiano in un mondo che cambia. Il Vangelo stesso ne ha forgiato l’espressione, identificandola come un invito alla fede e alla vigilanza[2].

Nel riproporre con forza l’originario significato biblico, Giovanni XXIII, nella sua profetica lettura della storia della Chiesa, ha invitato a scrutare questi segni affermando: “Facendo nostra la raccomandazione di Gesù di saper distinguere i segni dei tempi, crediamo di scoprire, in mezzo a tante tenebre, numerosi segnali che ci infondono speranza sui destini della chiesa e dell’umanità[3].

Questa attenzione ai segni da parte del “Papa Buono” trovò la sua esplicitazione nell’enciclica Pacem in Terris e in quella del suo successore Paolo VI che riprese l’espressione nel suo primo documento ufficiale, l’Ecclesiam Suam, osservando che si deve “stimolare nella Chiesa l’attenzione costantemente vigile ai segni dei tempi e all’apertura continuamente giovane che sappia verificare tutto e ritenere ciò che è buono”.

Il Concilio, naturalmente, fece da cassa di risonanza e da laboratorio rispetto a questa intuizione dei segni, riproponendola nella costituzione Gaudium et Spes. Tre testi, particolarmente, colpiscono in questo documento conciliare: “Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico”[4];

Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni pienamente umane”[5];

È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta”[6].

Questi tre testi sono molto espliciti e ci fanno capire che, a distanza di oltre cinquant’anni da quando furono redatti, non hanno trovato spesso la cosiddetta attuazione nell’evangelizzazione. Sarebbe ingiusto negare gli sforzi profusi da molti pastori e agenti pastorali in questi ultimi decenni, ma molto di più poteva e deve essere fatto. A ripeterlo con insistenza è papa Francesco che si sta prodigando nel rendere attuative le istanze conciliari. Leggendo, ad esempio, sia la Gaudium et Spes, come anche la Lumen Gentium, balza evidente il cambiamento ecclesiologico di posizione e di prospettiva. La Chiesa si auto comprende al servizio della Parola rivelata, proponendosi come mediazione di essa nel mondo. Una Chiesa pellegrina con l’uomo del suo tempo che per lui rappresenta la “compagnia della fede” nella ricerca della autentica volontà di Dio[7]. Una Chiesa umilissima che chiede aiuto agli uomini del suo tempo per essere capace di leggere attentamente i fenomeni umani. Una Chiesa povera, consapevole che la verità è ricerca comune e che essa la possiede solo in una prospettiva escatologica. Intendiamoci, questa non è una prospettiva del protestantesimo, è il modo di pensare della più alta autorità del Magistero: il Concilio! “La Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dallo sviluppo del genere umano… la Chiesa ha un bisogno particolare dell’aiuto di coloro che, vivendo nel mondo, sono esperti delle varie situazioni e discipline, e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o non credenti[8]. Non credo sia esagerato dire che mai erano state scritte parole così esplicite da parte della Chiesa nei confronti del mondo. Questo è un dato che va ricordato con insistenza, perché segna un modo nuovo di porsi della Chiesa – ahinoi, ancora non pienamente realizzato –  nei confronti delle culture, delle ideologie e degli uomini che le formano. In questo contesto, i segni dei tempi orientano verso un’interpretazione più universale del dato rivelato e obbligano la stessa Chiesa, nel suo insegnamento, a sintonizzare tale messaggio salvifico alla vita e alla cultura dell’uomo, una realtà in costante mutamento.

In qualche modo, quindi, i segni dei tempi appartengono già alla Rivelazione perché possono essere identificati con quei germi di vita[9], posti nel mondo e nel cuore di ogni uomo, mediante i quali è più facile percepire l’azione di Dio che incessantemente opera nella creazione, nella storia e negli uomini. Davanti ai segni dei tempi, la Chiesa è provocata a svolgere la sua funzione profetica perché è chiamata ad esprimere il giudizio di Dio sul presente. Un giudizio, tuttavia, che è sempre di misericordia. I segni dei tempi, infine, spingono a considerare seriamente l’orizzonte escatologico, ponendo tutti, credenti e non, nell’attesa di un compimento definitivo della storia. Il Concilio sembra quindi aver compiuto, anche per i segni dei tempi, un processo di personalizzazione e attualizzazione che apre la strada ad orizzonti davvero infiniti.

Ma quali sono oggi realmente i segni dei tempi sui quali dovremmo discernere? La lista potrebbe essere molto lunga, ma per brevità ci soffermeremo solo su quelli che risultano essere sintomatici di un mondo che sta attraversando una fase, senza precedenti nella storia umana, di mutazioni; vere e proprie trasformazioni trasversali, presenti con sfumature diverse, nei cinque continenti.

[1] Cfr., http://www.gliscritti.it/approf/2009/papers/fisichella150109.htm
[2] Mt 16,4; Lc 12,54-56.
[3] Giovanni XXIII, Humanae Salutis, Documento di indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 25 dicembre 1961; AAS 54 (1962),  pp. 5-13.
[4] GS 4: EV1/1324.
[5] GS 11: EV1/1352.
[6] GS 44: EV1/1461.
[7] LG 8: EV 1/304-307.
[8] GS 44: EV 1/1460-ss.
[9] Cfr. GS 15; 44.