Giovani speranza del mondo – riflessione biblica

Giovani speranza del mondo

Gv.1,1-18

Riflessione biblica di don Luigi Verdi (Fraternità di Romena)

Mette soggezione leggere questo testo, si sta sempre dinanzi a queste parole come chi teme di non capire, come dinanzi a qualcosa di troppo arduo e di complicato. Eppure Giovanni nel suo vangelo parla di cose semplici, come la festa, l’amore, il vino, le nozze, la morte. Semplici come la vita, che però ha anche la sua complessità fatta di fame, di pesantezza, di egoismo.

Giovanni è l’evangelista che ha come simbolo l’aquila, l’animale che vola più in alto di tutti gli altri uccelli e che vede da lontano anche i più piccoli particolari, i più minuziosi dettagli. Ed il vangelo di Giovanni è l’ultimo ad essere stato scritto e quindi si rivolge a persone che già conoscevano Gesù: ed è come se Giovanni, proprio come un’aquila, volesse portarci più in alto e mostrarci panorami inediti.

Protagonista di tutto il vangelo e di questi versetti in particolare è la Parola, presentata qui quasi in forma di poesia; all’interno di questa poesia vengono riassunti tutti i temi che poi incontreremo durante la lettura del vangelo: il tema della vita, il tema della luce, quello dell’accoglienza, della testimonianza, del diventare figli di Dio.

Il vangelo di Giovanni si svolgerà tutto come la presentazione della Parola fatta carne; e l’adesione a questo Gesù, alla sua persona e alle sue parole sarà l’adesione alla Parola che ha fatto il mondo, viene cioè trasmessa come la pienezza della vita e della gioia a cui da sempre l’uomo aspira.

A questo proposito è importante dire qualcosa sul valore della parola: si narra che Federico II imperatore di Svevia volle fare un esperimento perché era curioso di sapere quale fosse la lingua originaria dell’uomo, la prima lingua che si fosse parlata. Affidò allora sette bambini appena nati a sette balie, dando loro l’ordine di dar da mangiare, di accudirli, ma di non rivolgere loro mai la parola. Così, quando sarebbero diventati grandi, la lingua con la quale si sarebbero espressi, quella sarebbe stata la lingua originaria dell’uomo. Purtroppo tutti i bambini morirono: non avrebbero parlato mai nessuna lingua, morti poco dopo la nascita, perché? Perché l’uomo vive non solo di latte, ma anche di ogni parola che esce dalla bocca della mamma. La Parola è quindi ciò che dà l’esistenza all’uomo, che lo mantiene in vita.

Dio è Parola, cioè comunicazione, e la scommessa che ci viene presentata è tutta in questo dramma del rapporto della Parola, con la verità che non accolgo, che conosco e non riconosco, o che posso accogliere e riconoscere. E se l’accolgo mi viene dato il potere di diventare figlio di Dio, perché l’uomo diventa la parola che ascolta. La Parola trasforma l’uomo e gli dà forma, gli dà il modo di pensare, di agire e di essere.

“E la Parola si fece carne ed abitò tra noi”. Il Cristianesimo è l’unica religione in cui un Dio si fa carne, un Dio scende dal cielo e abita tra noi, fragile, povero, limitato come noi. E se Dio si è fatto carne, noi nella carne diventiamo Dio.

Nella nostra società̀ che uso facciamo della parola? La utilizziamo per dominare o per comunicare, per liberare o per schiavizzare, per illuminare o per rendere torbidi i nostri rapporti?